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Nel XIX secolo si scoprì che se si bombarda un metallo con radiazione elettromagnetica, gli elettroni vengono espulsi dal metallo stesso. In seguito, Einstein fornì una spiegazione teorica di questo strano fenomeno ―per il quale vinse il premio Nobel― che oggi è noto come effetto fotoelettrico. Vediamo insieme di cosa si tratta!Si indica con il termine "effetto fotoelettrico" l'emissione di…
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Jetzt kostenlos anmeldenNel XIX secolo si scoprì che se si bombarda un metallo con radiazione elettromagnetica, gli elettroni vengono espulsi dal metallo stesso. In seguito, Einstein fornì una spiegazione teorica di questo strano fenomeno ―per il quale vinse il premio Nobel― che oggi è noto come effetto fotoelettrico. Vediamo insieme di cosa si tratta!
Si indica con il termine "effetto fotoelettrico" l'emissione di elettroni da un metallo quando quest'ultimo è colpito da fotoni con una frequenza sufficientemente alta.
L'effetto fotoelettrico fu osservato per la prima volta da Heinrich Hertz nella seconda metà del XIX e il termine "fotoelettrico" fu introdotto dal fisico Augusto Righi, il quale scoprì che una lastra metallica si carica positivamente quando viene colpita da radiazione UV. In altre parole, si osserva un'emissione di elettroni quando un metallo investito da radiazione elettromagnetica. Nel 1905, Einstein diede a questo fenomeno l'interpretazione corretta. Egli ipotizzò che la luce fosse composta da particelle con quantità fisse di energia, chiamate fotoni.
Fig. 1 - Un diagramma dell'effetto fotoelettrico, dove le onde rappresentano i fotoni, i punti rossi gli elettroni e i punti verdi i nuclei degli atomi del materiale.
Gli esperimenti condotti per misurare l'effetto della radiazione elettromagnetica sull'emissione di elettroni da piastre metalliche hanno dato due risultati principali:
L'intensità della luce non ha alcun effetto sull'energia degli elettroni emessi, ma influisce sul numero di elettroni emessi.
La frequenza della luce influisce sull'energia degli elettroni emessi.
La fisica classica non poteva spiegare questi risultati!
I primi esperimenti che descrivevano l'effetto fotoelettrico non riuscivano a spiegare perché l'internsità della radiazione non influisse sugll'energia degli elettroni emessi. Infatti, la velocità degli elettroni emessi non cambiava al variare dell'intensità della radiazione incidente! Tuttavia, quando si usavano frequenze più alte, gli elettroni si muovevano più velocemente.
Albert Einstein, riprendendo l'ipotesi di Planck, ipotizzò l'esistenza di quanti di luce la cui energia è uguale al prodotto della costante di Planck \(h\) e della frequenza della luce \(\nu\):
\[E = h \, \nu \,. \]
Vediamo come questa ipotesi permise a Einstein di dare all'effetto fotoelettrico l'interpretazione corretta!
Se i fotoni con frequenza uguale o superiore a una certa frequenza di soglia colpiscono un elettrone, quest'ultimo può sfuggire all'attrazione del nucleo dell'atomo e diventare un cosiddetto elettrone libero.
In altre parole, l'elettrone può essere espulso solo se il fotone ha un'energia superiore a una certa quantità, chiamata lavoro di estrazione \(\Phi\):
\[ h \, \nu \ge \Phi\,. \]
Quindi, affinché l'effetto fotoelettrico abbia luogo, la frequenza della radiazione deve essere superiore o uguale a una frequenza di soglia tipica del metallo.
La quantità di energia necessaria per liberare un elettrone è chiamata lavoro di estrazione e dipende dal materiale considerato.
Supponiamo che un fotone con energia \( h \nu\) venga assorbito da un elettrone appartenente a un materiale con lavoro di estrazione \(\Phi\), e supponiamo che \(h \nu > \Phi\). In questo caso, si verificherà l'effetto fotoelettrico. Dopo l'assorbimento del fotone, l'energia cinetica \(E_\mathrm{cin}\) dell'elettrone d sarà data dalla seguente relazione:
\[E_\mathrm{cin} = h \, \nu - \Phi \]
Questo avviene perché l'elettrone guadagna inizialmente un'energia \( h \nu \) dal fotone e successivamente perde un'energia pari a \(\Phi\) a causa dell'attrazione del nucleo.
Un aspetto molto importante dell'effetto fotoelettrico è che se la frequenza è troppo bassa (cioè inferiore alla frequenza di soglia), i fotoni non avranno abbastanza energia per liberare alcun elettrone. Non importa quanti fotoni si inviano al materiale: non ci saranno elettroni liberi e l'effetto fotoelettrico non avrà luogo.
Se invece la frequenza dei fotoni è sufficientemente alta (cioè superiore alla frequenza di soglia), il numero di elettroni liberati sarà proporzionale al numero di fotoni che colpiscono il metallo. La frequenza specifica della luce determinerà l'energia cinetica con cui gli elettroni lasciano il materiale.
Fig. 2 - L'energia cineticadelle'elettrone è data dalla differenza tra l'energia del fotone (qui, \(h \nu\)) e l'energia utilizzata per rimuovere l'elettrone dalla lastra metallica (\( \Phi\)).
Un elettrone emesso da una lastra di rame ha un'energia cinetica di \(2{,}0 \, \mathrm{eV}\). Si desidera determinare l'energia e la frequenza del fotone che ha rilasciato l'elettrone.
Il lavoro di estrazione del rame (Cu) è di \( 5\, \mathrm{eV}\). Questa è l'energia necessaria per rilasciare il primo elettrone:
\[ \Phi = 5 \, \mathrm{eV}\,.\]
Se l'energia cinetica dell'elettrone dopo l'impatto del fotone è di \(2{,}0 \, \mathrm{eV}\), l'energia del fotone deve essere la somma di entrambe:
\[ E_{fotone}= (5 + 2) \, \mathrm{eV} = 7 \, \mathrm{eV} \,.\]
Poiché \(1 \: \mathrm{eV} = 1,6 \times 10^{-19} \, \mathrm{J} \), si ottiene:
\[E_{fotone}= 11,22 \times 10^{-19} \, \mathrm{J}\,. \]
Poiché l'energia del fotone è uguale alla costante di Planck moltiplicata per la frequenza del fotone, possiamo ricavare la fequenza \( \nu\) dalla seguente relazione:
\[ \nu = \frac {E_{fotone}}{h} = \frac{11,22 \times 10^{-19} \, \mathrm{J}}{6,62 \times 10^{-34}\, \mathrm{J} \,\mathrm{ s^{-1}}}= 1,69 \times 10^{15} \, \mathrm{Hz}\,.\]
Per rilasciare un fotoelettrone, è necessario colpire il metallo con fotoni di energia uguale o maggiore del lavoro di estrazione del metallo.
Prima dell'interpretazione di Einstein, si pensava che aumentando l'intensità della radiazione sarebbe aumentata l'energia degli elettroni emessi. Tuttavia, gli esperimenti mostravano che il numero di elettroni emessi variava con l'intensità della radiazione, ma non la loro energia.
La relazione tra l'energia cinetica degli elettroni emessi e la frequenza della radiazione mostra che l'energia dei fotoni è direttamente proporzionale alla loro frequenza.
Fig. 1 - Photoelectric_effect_in_a_solid_-_diagram.svg (https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Photoelectric_effect_in_a_solid_-_diagram.svg) by Ponor is licensed by CC BY-SA 4.0 (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0/deed.en)
L'effetto fotoelettrico è un fenomeno che descrive l'emissione di elettroni da una piastra metallica quando quest'ultima è colpita da radiazione elettromagnetica.
Nel 1905, Einstein diede a questo fenomeno l'interpretazione corretta, ipotizzando che la luce fosse composta da particelle discrete con quantità fisse di energia, chiamate fotoni.
L'energia di un fotone è uguale alla costante di Planck h moltiplicata per la frequenza della razdiazione ν: E = h ν.
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